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In epoca pre-pandemia, il BAM aveva convinto Michele Benfatto che tornare (quasi) a casa poteva essere la soluzione ideale. Da una parte la voglia di nutrire legittime ambizioni dopo la promozione in C Gold, dall’altra la necessità di coniugare basket e famiglia dopo un lungo peregrinare nel nord Italia tra Serie B e A/2. Sembrava tutto funzionasse alla perfezione, ma poi il Covid ha interrotto l’idillio. Due anni dopo il “Benfa” è ancora lì, oggi come ieri al PalaBerta di Montegrotto, ma con la maglia dell’UBP che ha aggiunto il logo della società termale in virtù di una sinergia nata l’estate scorsa. Estate che è scivolata via nel peggiore dei modi per il centro padovano cresciuto nelle giovanili del Petrarca come il “gemello diverso” Davide Andreaus.
Nei mesi scorsi hai dovuto lottare contro una dolorosa pubalgia e pure con il Covid. A 36 anni hai temuto a un certo punto di dire: «Ok, basta, adesso smetto con la pallacanestro»?
«Onestamente non ci ho mai pensato. Da qualsiasi infortunio abbia patito in carriera, ho sempre cercare di uscirne. Mi piacciono ancora troppo le sensazioni che mi regala basket. Dopo tanto tempo che ero fermo, avevo tanta voglia di riassaporare l’agonismo, la sfida con gli avversari».
Cosa significa scendere ancora in campo insieme ad “Aus”?
«Abbiamo condiviso tanti bei momenti in passato che sarebbe bello rivivere anche qui a casa nostra. Entrambi abbiamo scolpita in mente gara-4 della semifinale playoff di Serie B di qualche anno fa contro Piacenza, quando giocavamo entrambi a Cento. Vincemmo dopo un supplementare. Aver raggiunto la finale ci aveva fatto pensare a tutte le fatiche, che avevamo dovuto sopportare per raggiungere l’obiettivo, e alla fine ci siamo lasciati andare ad un abbraccio».
Conservi qualche aneddoto anche degli anni trascorsi al Petrarca insieme a Davide?
«Non ho in mente nulla di particolare, ma ricordo ancora la prima partita che abbiamo giocato assieme. Eravamo al Taliercio contro la Reyer Venezia per una gara degli Juniores.“Dave” proveniva dalla squadra Cadetti. Poi c’è stato il periodo in prima squadra con la Patavium».
Guardando il tuo passato ad alto livello, ti senti il leader dell’UBP?
«Credo di essere un giocatore importante, come altri di questa squadra. Non sento di essere il leader, anche se sono consapevole di quanto valgo. Il nostro nucleo è formato prevalentemente da ragazzi esperti: i miei compagni non hanno bisogno che gli dica cosa fare».
Cosa ritieni di poter trasmettere ai più giovani?
«Sicuramente la mentalità. Quando le cose non vanno per il verso giusto, non bisogna abbattersi, ma continuare a lavorare. Siamo molto uniti come gruppo e abbiamo molto potenziale inespresso. Dobbiamo ancora tirare fuori tutti il meglio di noi stessi: abbiamo bisogno di imparare a conoscerci meglio».
Quali sono i tuoi desideri di sport e di vita per il futuro?
«Difficile dirlo, sono sempre stato abituato a vivere giorno per giorno. Per quanto riguarda il basket tengo moltissimo a riportare in alto la mia città. Ora sto lavorando con mio papà e poi sono il papà di Leonardo: vorrei insegnare a mio figlio più cose possibili in modo che possa affrontare la vita con qualche strumento in più».
* CREDIT FOTO UBP
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