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Red Auerbach, leggendario allenatore e figura iconica dei Boston Celtics, sosteneva che nel basket non si può misurare il cuore di un giocatore. Da visionario e precursore, che ridefinì la pallacanestro in senso moderno e collettivo, sdoganando barriere e pregiudizi interrazziali, il buon Red ci aveva visto giusto. Prendi uno come Davide Andreaus che di cuore ne ha e ne mette sempre tanto, dentro e fuori dal campo. Giocatori unici nel loro genere che proprio per questo diventano naturalmente leader venendo investiti di un ruolo carismatico come quello di capitano. Quelli che anche se non sono in campo, è come se ci fossero.
Allora capitano, quando ti rivedremo sul rettangolo di gioco?
«Viviamo alla giornata. Sento ancora fastidio e dolore al ginocchio. Spero di farcela per la prima serie dei playoff».
La regular season è stata quasi perfetta. Siamo dove volevamo essere. Cosa ti è piaciuto di più della squadra e cosa invece meno?
«Il gruppo è una certezza, ma lo sapevamo già in partenza. Siamo andati tutti insieme nella stessa direzione. Dispiace per le due sconfitte, ma penso siano state salutari perché ci hanno aiutato a rimettere i piedi per terra. Possiamo migliorare sul lato della transizione, a volte ho la sensazione che tendiamo ad andare con il freno a mano tirato, anche se poi riusciamo a sfruttare il vantaggio fisico nell’uno contro uno».
Quanta voglia avevate voi ragazzi del nucleo storico di rimettervi in gioco dopo un’annata difficile culminata con la retrocessione?
«Ne avevamo troppa, eravamo consci del potenziale della squadra. Se non ci fosse stato un certo tipo di situazione con le difficoltà dovute anche al Covid, sarebbe andata diversamente la passata stagione».
Come siete riusciti a superare le difficoltà d’inizio stagione e metà campionato?
«Lavorando sodo, dal lato umano e professionale diamo tutti il 100% tutti i giorni. Da capitano provo a dare il buon esempio arrivando mezzora prima ad allenamento».
Come è stato ritrovare il “Benfa” come compagno di squadra a distanza di un lustro?
«È stata la chiusura di un cerchio per entrambi. Ora vorremmo coronare il tutto nel modo più bello e giusto possibile. Divertendoci da amici, come lo siamo sempre stati».
Come si lavora con coach Volpato?
«È un allenatore molto professionale, un lusso per la C Gold. La scorsa estate, la società ha scelto di affidarsi a qualcuno che impostasse un programma di lavoro professionistico e sono stati mossi passi in avanti significativi anche dal punto di vista organizzativo».
Chi ti ha sorpreso di più in questa stagione?
«Matteo Coppo è diventato un giocatore fondamentale: non può non giocare, è in una forma strepitosa. È il primo da premiare. Già la scorsa stagione si era espresso bene: a Teramo, ad esempio, ce l’ha fatta vincere lui. Mi ha stupito tra i giovani Nicola Bombardieri. È in grande crescita e rappresenta il futuro di questa squadra».
C’è tanta esperienza all’UBP, ma come si arriva fino in fondo ai playoff?
«Dobbiamo restare sereni, giocare duro con tanta forza mentale».
Quali rischi si corrono da favoriti in questa fase?
«L’approccio alle prime partite dei playoff è importante: bisogna entrare dentro ogni serie con una mentalità diversa dal campionato».
Qual è l’avversaria che ti ha impressionato maggiormente e che ritieni più difficile da affrontare tra quelle inserite nella griglia playoff?
«Dico Jadran Trieste e poi Montebelluna».
È rimbalzata l’idea di unire le forze tra i due principali poli della pallacanestro cittadina. Cosa vorresti per la Padova del basket nel prossimo futuro?
«È difficile perché alla base si collocano storie profonde molto diverse. Un’unione di intenti tra Virtus e Petrarca, che porti a una Serie A/2, potrebbe però dare una sferzata alla piazza. Padova lo ha già dimostrato in passato: la passione e l’entusiasmo non mancano».
(CREDIT FOTO UBP)
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