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Fabio Fabiano, uomo simbolo del Petrarca, festeggia un altro importante traguardo: questa domenica, il maestro (appellativo con cui viene unanimemente riconosciuto) compie infatti 89 anni, 65 dei quali (almeno) trascorsi in panchina. Ha iniziato ad allenare nel 1954 e da allora non ha mai smesso legando il proprio nome indissolubilmente a quello della società bianconera. Nato il 17 novembre 1930 a Treviso, si è trasferito con la famiglia a Padova in tenera età, ma la passione per il basket è sbocciata relativamente tardi: aveva già raggiunto la maggiore età, quando iniziò a muovere i primi passi con la palla a spicchi. «Non ho giocato in nessuna squadra giovanile, ma ho approcciato alla pallacanestro imparando qualcosa dai più vecchi», ricorda l’allenatore benemerito, «Avevamo assemblato un gruppo di 7-8 ragazzi per fare la Prima Divisione. Ero giocatore e allenatore. Sembravo il più esperto, ma in realtà ero soltanto più predisposto a trasmettere agli altri quanto avevo imparato».
Da allora non si è mai fermato e ogni anno la ritroviamo in palestra, ma cosa la spinge ad allenare?
«È il tentativo di ottenere un miglioramento costante. Oggigiorno è difficile perché i ragazzini si accontentano del tiro da tre, ma il problema più grosso è che non riescono a mantenere l’attenzione. E poi bisogna considerare le loro motivazioni. Perché praticano la pallacanestro? Dobbiamo però anche essere noi allenatori a mettere in discussione il nostro modo di comunicare perché forse non è adatto ai giovani di oggi».
Quest’anno allena i gruppi Under 18 Eccellenza, Under 18 Gold e Under 15 Gold del Petrarca.
«Analizzo la situazione dell’Under 18 Gold che sta migliorando progressivamente. È una squadra che non era abituata alla fetta tecnica della pallacanestro: difendersi dai blocchi e attaccare con i blocchi, imparare ad attaccare le difese a zone. Non ho tempo di seguire altro basket all’infuori delle giovanili. Sono in palestra 3-4 ore al giorno e ho avuto poco modo di vedere anche la prima squadra di C Gold. Sono però contento che si sia ripresa da un paio di cadute e stia trovando la quadra del cerchio».
Che stile di vita conduce? Qual è il segreto per arrivare in forma alla sua età?
«Non c’è nessun segreto a cui mirare. Mi piace cucinare, mangiare e bere bene. A pasto mi concedo non più di mezzo “gòto”. Diciamo che sto attento all’alimentazione e dormendo meno rispetto al passato mi piace molto leggere».
Il suo riferimento è sempre stato il professor Aza Nikolic o c’è stato qualcun altro da cui ha appreso l’arte di allenare?
«Ho cominciato osservando Franco Flamini che ha portato a Padova la vera pallacanestro, diversa dalla palla al cesto. Aveva giocato con gli americani a Trieste. Ma ho cercato di imparare da tutti gli allenatori che ho avuto modo di incontrare. Da Nello Paratore, capo all’epoca della Nazionale, e poi da un altro tecnico nazionale come Giancarlo Primo che mi spediva in giro per il Triveneto».
Qual è il ricordo più piacevole della sua esperienza da allenatore giovanile?
«Uno spareggio Juniores a Castelfranco. Non sapevo che cavolo fare contro la Reyer Venezia che stava dominando. Quando rientrammo negli spogliatoi, dissi ai ragazzi:“Riunitevi e parlatene. Dovete pensarci voi se volete portare a casa la partita”. Volevo capire se c’era qualcuno che era disposto prendersi la responsabilità. Vincemmo e andammo alle Finali Nazionali a Montecatini Terme, dove il Petrarca si laureò campione d’Italia superando nettamente l’Ignis Varese. Eravamo preparati perché avevamo seguito per un anno intero la prima squadra di Nikolic guardando i fondamentali di Doug Moe».
(foto Rocco Antonio D’Argento)
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