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Quella che racconterò oggi non è la cronaca di una partita e neanche del risultato di un torneo oppure dell’andamento degli allenamenti. Ma la normale settimana tipo di un ragazzo di 17 anni, come ce ne sono tanti in giro, forse un po’ più alti della media, ma pur sempre diciassettenni. La loro giornata, la loro settimana e i loro mesi sono scanditi dagli impegni sportivi, massacranti sedute atletiche sotto le mani di un preparatore (ma questo gode a vederci distrutti si domandano spesso?) o del coach che pretende tu corra sempre più forte e salti sempre più in alto, difendi come non ci fosse un domani, che segni con ogni pallone ti passi fra le mani e stai attento quando il playmaker chiama lo schema, ma chi si ricorda cosa si fa, quando dice “rosso”?
I ragazzi della loro età vanno a scuola e quando sono liberi dagli impegni scolastici frequentano amici, cinema e discoteche… Ma loro no, non riescono a fare tutto quello che i loro coetanei fanno: i loro amici sono i compagni di squadra, i coach e qualche volta anche gli avversari. Per qualcuno di loro è un impegno anche soltanto il fatto di aprire i libri. Qualcun altro invece va bene, molto bene come è normale che sia: dopo il normale ritmo scolastico mattutino, si mangia e andiamo in camera per studiare fino all’ora dell’allenamento, tra i pasti e le lezioni a scuola c’è soltanto lo studio. La normale attività di un ragazzo non ancora maggiorenne, che gioca a basket a certi livelli, è dalle 3 alle 4 ore di allenamento. Si finisce verso le 23 si torna a casa magari facendo anche un’ora di strada e si mangia un rapido pasto, perché poi devi metterti sui libri, perché sai che domani la prof ti interroga o c’è verifica di “mate”.
Qualcuno di loro quest’anno avrà la maturità (chissà come sarà nella nuova versione), chi non ce l’ha invece insegue una promozione tranquilla, senza prendere debiti. Le settimane si susseguono una dopo l’altra, in settimana c’è la partita dell’Under 18 e si macinano chilometri su chilometri per andare dall’Emilia fino in Lombardia per affrontare avversari sempre diversi e sempre più forti. Quando va bene si rientra all’una di notte e, che si vinca o si perda, domani si va a scuola e si cerca di non addormentarsi sui banchi. Chi non lo prova, non può capire quanto sia difficile, e al pomeriggio comunque c’è allenamento o magari il recupero di una partita saltata per vari motivi.
Ci si allena con compagni più grandi che lavorano e quindi nel pomeriggio non si possono allenare, e poi il coach vuole provare nuovi schemi di gioco, oppure desidera mostrarti come giocano i tuoi prossimi avversari. Poi si prepara la partita del sabato o della domenica, ma il coach te lo darà mai un giorno di riposo? Qualche volta c’è il miracolo, ma non capita spesso.
Adesso partecipi a un torneo bellissimo perché imprevisto, e chissà magari incontrerai vecchi compagni di squadra o avversari fortissimi, che ti insegneranno qualcosa di nuovo e bisogna affrontare altre centinaia di chilometri di autostrada, di soste negli autogrill di mezza Italia e via di cuffie nelle orecchie con l’ultimo pezzo scaricato a palla.
Arrivati nella palestra di turno almeno un’ora prima, parte il riscaldamento, le urla del coach che mi dice che non difendo su nessuno e dalle tribune improperi dei pochi genitori che ti seguono, nei confronti del malcapitato arbitro di turno. Finita la partita tutto bene, se si è vinto… I problemi arrivano quando devi percorrere centinaia di chilometri con il peso di una sconfitta sullo stomaco.
Ma cerchi di dormirci sopra, rannicchiandoti come puoi in quei scomodissimi sedili del vecchio pulmino o di un pullman, se si è abbastanza fortunati. A casa in piena notte o forse meglio dire mattina, con un occhio aperto saliamo in macchina del poveraccio di genitore che non dice una parola da quanto sonno ha. Vai a letto che neanche sai a che ora. «Che dici se domani sto a casa?». «Non puoi domani (fra poche ore), ti interroga il prof di scienze, quello ce l’ha con te». Ma alla fine sono contento, mancano poche ore per il prossimo allenamento dove rivedrò i miei amici e verserò altri litri di sudore negli indumenti che mia madre lava quotidianamente e ti fa trovare pronti ad ogni allenamento.
Quanto ho scritto sopra non è per far compatire questi ragazzi, che non fanno sacrifici, perché fanno ciò che gli piace, ma per raccontare un altro modo di vivere questa parte della loro vita. Fuori dagli schemi sociali, ma appagante in tutti i suoi aspetti, perché insegna ad affrontare il futuro che li attende e che non sarà sempre in discesa, anzi. Ma è per tutte queste ragioni che amano il basket!
Daniele Bovo
(foto Rocco Antonio D’Argento)
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Tutte cose esatte quello che ho letto il sacrificio di ogni ragazzo comporta queste cose . Evviva il Basket 🏀